Il mercato immobiliare delle abitazioni ha conosciuto negli ultimi anni una forte accelerazione nella specializzazione e diversificazione dell’offerta, che ha portato alla nascita di tante formule nuove dell’abitare.
Queste nuove forme hanno soddisfatto i sempre più crescenti, e differenti, bisogni di abitare, tra cui il bisogno di socialità che, affermandosi soprattutto tra i nuclei familiari più giovani, ha dato origine ad un nuovo modello di residenza: il co-living.
Le strutture di co-living
Le strutture di co-living nascono nel contesto della sharing economy, influenzate dai valori della collaborazione e della condivisione degli ambienti di vita e delle esperienze: esse hanno infatti origine dalle esperienze di co-working, a cui si sono ispirate e da cui si sono successivamente sviluppate, andando a colmare non solo la necessità di condivisione di servizi, ma di tutti gli aspetti della vita sociale.
In ciò è infatti possibile definire che il co-living è la nuova evoluzione del co-working, quest’ultimo nato circa 20 anni in Germania dove si era affermato il concetto di diffusione e incentivazione dell’accesso ai servizi, più che possesso degli stessi.
Oggi una struttura di co-living è sostanzialmente un edificio a destinazione residenziale, in cui i residenti hanno a propria disposizione una camera da letto privata in un appartamento arredato, con aree comuni condivise sia all’interno dell’appartamento stesso, come cucina e salotto, che nell’edificio nel suo complesso, ai vari piani e al piano terra, come aree per attività comuni, per il co-working, piccole biblioteche e laboratori, zone per i più piccoli, ecc.
Particolarmente apprezzata dalla generazione dei Millennial, cioè i cosiddetti “giovani adulti” con un’età compresa tra i 25 e i 40 anni, il co-working è infatti scelto soprattutto per la possibilità di avere maggior flessibilità, alla ricerca di un bilanciamento diverso tra attività lavorative e ricreative (la cosiddetta work-life balance) e, specialmente, a un rinnovato desiderio di comunità, apertura e scambio; inoltre viene scelto per la possibilità resa, a quelle categorie di soggetti che cercano una soluzione abitativa economicamente ottimizzata, di trovare una sistemazione nelle grandi città dove i prezzi sono normalmente poco accessibili.
Oggi il co-living è ancora un mercato non sviluppato e relativamente recente. Le prime realtà a entrare in questo nuovo mercato immobiliare sono state Common e Pure House, due start-up americane nate alla fine del 2015, e più recentemente anche WeWork che ha aperto la divisione WeLive.
“Quello che sta trainando il co-living e il movimento di condivisione dello spazio abitativo è il desiderio dei giovani professionisti di vivere in una community con altri creativi e innovatori, in un mondo fatto di condivisioni e di collaborazioni, senza frontiere di spazio e tempo”. Spiega Ryan Fix, fondatore del co-living Pure House di New York.
In Italia si stanno affacciando diversi soggetti, tra cui DoveVivo, società dedicata al co-living che da quando è nata ha messo a segno una crescita esponenziale.
Gli investimenti in strutture di co-living
Il co-living è una forma di investimento che rientra nel più ampio mercato immobiliare residenziale, e nello specifico di quello disponibile alla locazione.
Tale mercato, storicamente caratterizzato da tassi di rendimento bassi e quindi poco interessanti, è stato sempre poco attraente per gli investitori che oggi, per contro, stanno individuando nel co-living un segmento interessante per i rendimenti che è in grado di offrire.
Se infatti storicamente in Italia il residenziale è stato caratterizzato per rendimenti lordi intorno al 4%, il co-living, se gestito professionalmente da operatori specializzati e in grado di soddisfare, se non anticipare, la domanda e i suoi bisogni, può tranquillamente offrire rendimenti intorno al 5,5% / 6% lordo, andando così a intercettare tutti quegli investitori che, avendo a disposizione notevoli capitali da investire, possono così impiegarli in un’asset class che soddisfa al contempo i due criteri di investimento della massimizzazione del rendimento e della minimizzazione del rischio, sostenuti dalle prospettive di crescita di un mercato ancora oggi in una fase per così dire “embrionale”.
Il modello di business è semplice: un investitore, sia privato che professionale/istituzionale, investe nell’acquisto ed eventuale riqualificazione di un immobile che sia, o si presti ad essere riconvertito, residenziale; successivamente, tramite un accordo di gestione, lo conferisce ad un operatore professionale che lo gestisce, e corrisponde al proprietario una “cedola” periodica.
L’investimento minimo varia da cifre molto contenute alla portata di un investitore privato (tra i 200 e i 400 mila euro, necessari per l’acquisto di un appartamento da dare in gestore all’operatore), fino ad alcuni milioni di euro per un investitore professionale, tra cui quelli istituzionali, che si rivolgono invece all’acquisto di interi edifici.
I criteri di investimento in strutture di co-living
I gestori di co-living basano le proprie scelte di localizzazione su diversi criteri, non necessariamente economici.
Anzitutto lo studio demografico fornisce un primo criterio di selezione: la crescita dell’incidenza delle fasce più giovani sul totale della popolazione, l’immigrazione netta dalle aree regionali di riferimento e l’elevata percentuale di nuclei familiari monocomponenti sono elementi demografici che riescono a misurare e quantificare la potenziale domanda di alloggi di co-working.
Il canone medio nel centro città e nelle periferie e i prezzi di acquisto delle abitazioni sono invece indicatori prettamente economici della propensione a preferire soluzioni condivise e più abbordabili per le fasce di popolazione a minor disponibilità di redditi, e misurano quindi la disponibilità massima a sostenere un canone in una struttura di co-working invece che rivolgersi all’acquisto o alla locazione tradizionale.
Dal punto di vista degli investitori, i tassi di rendimento in una precisa area geografica sono il metro di riferimento che ne guida la scelta di investimento. Ad esempio, a Milano i tassi di rendimento sono compresi tra un minimo del 3,8% che si ottiene investendo nel centro città, al 5,6% in periferia; a Roma i rendimenti vanno dal 3,7% del centro al 5,3% in periferia.
Infine, dal punto di vista prettamente immobiliare, la disponibilità di edifici che si prestino agevolmente ad essere convertiti in co-living è un criterio imprescindibile. A tale proposito, oltre alle soluzioni di appartamenti in contesti condominiali, che sono più alla portata degli investitori privati, il taglio minimo di un edificio che sia interessante per un investitore professionale ed economicamente efficiente per il gestore, si attesta intorno ai 3.000 mq, dove possono essere ricavati circa 100 posti letto.