di Valeria Genesio*
Una volta era “casa dolce casa”. Oggi, per molti, è diventata un miraggio.
Dai tempi della pietra e della fionda, la casa è simbolo di stabilità, rifugio e radicamento. Non è un mero bene materiale. La casa è l’essenza stessa dell’appartenenza: il luogo dove si sedimentano le memorie, si forgiano le identità, si tramandano le radici. In molte culture, l’ambiente domestico rappresenta la continuità generazionale, un punto di riferimento di sicurezza e coesione.
Il diritto all’abitazione è riconosciuto come fondamentale dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 25), dalla Costituzione italiana (art. 47) e da numerose sentenze della Corte costituzionale. Tuttavia, negli ultimi decenni, la mancanza di politiche abitative e di strumenti di welfare ha contribuito a svuotare questo principio, e la casa è divenuta sempre più un asset finanziario, affidato alle logiche del mercato e della rendita.
Le ragioni di questo mutamento sono molteplici e riconducibili a dinamiche economiche ben precise. In primo luogo, la crescente domanda di soluzioni abitative flessibili nelle aree urbane ha favorito l’espansione degli affitti brevi e dei cosiddetti serviced apartments, con una conseguente contrazione dell’offerta di locazioni stabili. Ciò ha reso sempre più difficile, per ampie fasce della popolazione, accedere ad un’abitazione.
Parallelamente, l’elevata redditività degli affitti a breve termine ha attirato l’interesse degli investitori, soprattutto istituzionali, storicamente distanti dal settore residenziale in quanto ritenuto poco remunerativo. La trasformazione della casa in strumento di rendimento ha alimentato una dinamica speculativa che ha ulteriormente allontanato l’abitazione dalla sua originaria funzione sociale.
In questo scenario, i governi sono rimasti inerti. Pochi Stati, infatti, hanno elaborato politiche efficaci per bilanciare la libertà di mercato con la tutela del diritto alla casa. Spesso, gli interventi si sono rivelati tardivi o controproducenti, contribuendo a distorsioni anziché a correttivi.
Il caso italiano è emblematico. La normativa sulle locazioni residenziali, nata con l’intento lodevole di proteggere il conduttore, si presenta oggi anacronistica e inadatta a rispondere alle esigenze sia del locatore che del conduttore. La durata minima inderogabile di 4+4 anni, i vincoli stringenti alla facoltà di disdetta da parte del locatore e la lentezza cronica delle procedure di sfratto hanno spinto molti proprietari a ritirarsi dal mercato o a privilegiare formule più flessibili e redditizie, come gli affitti brevi. Il risultato: un’ulteriore contrazione dell’offerta a canoni accessibili.
Il fenomeno delle occupazioni abusive è, in questo contesto, un sintomo eclatante di un disagio sociale che sfocia in forme di giustizia privata, sintomo del fallimento delle istituzioni nel garantire un diritto costituzionale.
La dimensione del problema dell’accesso alla casa è tale da non poter essere più ignorata. Secondo i dati più recenti, nell’ultimo decennio il numero dei senzatetto in Europa è aumentato del 70%, raggiungendo quasi 900.000 persone. Un dato allarmante, che ha spinto l’Unione Europea a istituire, nel giugno 2021, una piattaforma per affrontare il fenomeno con l’obiettivo – ad oggi ambizioso e ancora lontano – di porvi fine entro il 2030.
Tuttavia, solo tre Paesi (Finlandia, Danimarca e Austria) hanno fatto registrare un calo nel numero dei senza dimora, grazie all’adozione della strategia Housing First, che prevede l’assegnazione di un alloggio come premessa per l’accesso ai servizi sanitari, educativi e sociali. Un approccio concreto e pragmatico che meriterebbe maggiore diffusione.
Se vogliamo ancora considerare il diritto alla casa come un diritto fondamentale, è indispensabile un ripensamento profondo delle politiche abitative, sottraendole alla pura logica dell’autoregolazione del mercato.
Un possibile percorso potrebbe essere l’introduzione dell’obbligo di integrare investimenti in residenze sociali nell’ambito delle politiche ESG adottate dagli investitori immobiliari. Nel real estate, l’attenzione all’ambiente è consolidata; quella al sociale, invece, è ancora marginale mentre dovrebbe essere centrale in una visione davvero sostenibile e collettiva. Introdurre obblighi o incentivi per destinare una quota degli investimenti ad alloggi accessibili potrebbe rappresentare un primo passo per riallineare interessi pubblici e privati.
Altrettanto necessario è il ricorso a strumenti fiscali – come la defiscalizzazione degli affitti calmierati o il sostegno a chi partecipa a programmi di housing sociale – sul modello francese o tedesco.
Le decisioni non sono più procrastinabili. Senza scelte politiche coraggiose, lungimiranti e strutturali, il diritto alla casa rischia di ridursi ad una nobile enunciazione. L’ennesimo diritto sulla carta, disatteso nella realtà.
*Presidente Agedi
