Da «eterno riposo» a contratto a termine
Cimitero_Monumentale_di_Milano_nella_sua_vista_esterna_frontale

La gestione cimiteriale diventerà presto un’emergenza e una questione di dignità umana

di Valeria Genesio

Caro direttore, oggi celebriamo i nostri morti ma morire, in Italia, non basta più. E il posto per l’eterno riposo è diventato a tempo determinato. In questi giorni i cimiteri colmi di fiori ci restituiscono l’immagine di un Paese ancora profondamente legato ai propri cari scomparsi. Ma chi ha vissuto un lutto recente sa che, al dolore, si aggiunge un fardello ulteriore: la burocrazia necessaria per assicurare ai propri cari un luogo dignitoso post mortem.

I cimiteri sono pieni, le concessioni scadono, le tariffe crescono. La materia è affidata ai Comuni, ciascuno con la propria regolamentazione. Le concessioni cimiteriali hanno una durata sempre più breve e i loculi vengono riallocati, spesso a discrezione del Comune. In molti casi si dà la precedenza ai residenti, come se la morte dovesse rispettare i confini anagrafici. Chi ha i propri cari in un’altra città, o chi desidera “tornare a casa” dopo una vita altrove, deve spesso chiedere permesso.

Non c’è più libertà di scelta. La cremazione diventa spesso la via più praticabile, non per convinzione ma per mancanza di spazio. E la tomba, che un tempo evocava l’idea di eternità, oggi è concessa per venti o trent’anni, salvo rinnovo, se sta bene al Comune. Poi si riapre e, a seconda dello stato della salma, si procede all’estumulazione o al trasferimento in una celletta privata, in un altro cimitero o, come extrema ratio, nell’ossario comune, perdendo cosi ogni diritto sul defunto.

L’intervento

Ogni passaggio ha un costo: l’eterno riposo è diventato un contratto a termine. E, soprattutto, chi resta non smette mai di pagare. E chi arriva dopo, paga sempre di più e per tutti. Dietro questa burocrazia minuta, in cui non è facile orientarsi, si nasconde pero una questione più profonda: la perdita del diritto alla sepoltura come parte del diritto alla dignità. La normativa parla chiaro: le aree cimiteriali appartengono al demanio comunale e la concessione, per sua natura, non conferisce un diritto perpetuo.

Ma è proprio questa “temporaneità” istituzionalizzata a segnare un passaggio culturale. I cimiteri, un tempo luoghi di appartenenza collettiva, sono diventati spazi impersonali, spesso trascurati. I vialetti si sfaldano, le lapidi scoloriscono, il personale è pressoché inesistente, trovare il proprio defunto è spesso un’impresa improba. Una civiltà si misura anche dal modo in cui custodisce i propri morti. Dove un tempo si pronunciavano parole di commiato, oggi si quantificano anni, marche da bollo e metri quadrati. Una pratica amministrativa.

Eppure, l’idea stessa di sepoltura era nata come promessa di eternità: dagli Egizi in poi si costruivano tombe per durare millenni, non per trent’anni. Anche in questo ambito si manifesta il paradosso di un Paese che regola tutto, tranne quello che conta davvero: il legame con il tempo, la pietas romana nel senso di rispetto verso chi ci ha preceduto, il perpetuare i valori e le tradizioni familiari. E il problema non potrà che aggravarsi: in una nazione tra le più anziane d’Europa, dove la curva demografica si piega e l’età media cresce, anche la gestione della morte diventerà un’emergenza. Non solo di spazio, ma di senso.

*Presidente Agedi